AmaZON

venerdì 20 gennaio 2012

John Ford (1895-1973)

Abbiamo già avuto modo di parlare del cinema Western come uno dei generi per eccellenza del cinema americano, soprattutto per quanto riguarda i temi affrontati, come quello della frontiera, la nascita di una nazione, il coraggio, la lealtà nei rapporti umani e sociali, tanto per quanto riguarda la forma del racconto , il dinamismo, il montaggio alla "Griffith", che rappresentano una sorta di concentrato delle virtù americane. Il Western inoltre è forse l'unico genere che sottende tutta la storia del cinema americano sin dalle origini. Dunque per parlare di cinema americano degli anni di Roosevelt, possiamo partire proprio dal Western e da uno dei registi più rappresentativi, nonché uno dei più interessanti, John Ford.
Il cinema di Ford si identifica in larga misura con l'americanismo della cinematografia hollywoodiana. "L' american way of life" proposta al paese negli anni trenta, ebbe in Hollywood e in Ford due eccellenti propagandisti, tanto da trasformare uno spettacolo in un mezzo di propaganda ideologica, (situazione in cui il cinema suo malgrado si troverà molte volte compromesso). Ford impiegò largamente nelle sue opere quella visione manichea prettamente western che vede da un lato i buoni, dall'altro i cattivi, che sarà per molti anni il centro attorno a cui girerà la morale dei film western e non solo. La grande epopea della conquista di spazi vitali, la nascita di un nuovo stato basato sulla legalità e sulla giustizia, la formazione di una comunità all'insegna della legge, dell'onore e della lealtà che poteva farsi risalire alla morale puritana, sottende tutta l'opera di Ford. La grandezza dell'opera di Ford sta nel saper poggiare il suo sguardo critico sui fatti e sui personaggi, nonostante la sua opera si basi su un cinema di maniera e sui luoghi comuni dello spettacolo hollywoodiano. Per far questo usa spesso l'ironia, un facile umorismo e una sottile malinconia che scavano in profondità. Le storie, che sembrano sempre la stessa, a ben guardare rivelano la rappresentazione di una società. La caratteristica principale del suo cinema, "l'individualismo fordiano", il culto per l'uomo singolo (interpretato molte volte da John Wayne), la cui azione può modificare le situazioni più negative, gli consente di inserire nello schema manicheo del western anche altri generi, creando una visione tutta personale. Questo è ben visibile in opere come: "Ombre rosse" 1939, "Sfida infernale" 1946, "Sentieri selvaggi" 1956, "Furore" 1940, ed altri. In queste opere Ford tenta un discorso sull'uomo e sulla società che non si limita alla contrapposizione di due mondi, ma vuole fornire materiale originale per un'analisi critica del reale. La grande produzione Fordiana si presenta con una sua sostanziale uniformità, tenuta assieme da un profondo "piacere del narrare" che si evidenzia in situazioni, ambienti e personaggi fortemente spettacolari e attraenti.
Ford iniziò la sua carriera tra il 1917 e il 20 proprio con i film western. La lezione di Griffith e di Ince fu alla base della sua preparazione professionale. Film come "Cavallo d'acciaio" 1924 gli diedero successo di pubblico e fama. Dal 1926 Ford abbandonerà per più di 10 anni il western per dirigere film di vario genere, cercando temi che gli permettessero di trattare gli argomenti preferiti della sua poetica puritana e conservatrice, identificandosi con gli ideali del New Deal di Roosevelt. Tra questi film ricordiamo "L'ultima gioia" 1928, "Il sottomarino" 1930, "La pattuglia sperduta" 1934, "Il traditore" 1935, "Uragano" 1937. Queste opere oltre a dimostrare l'abilità registica di Ford dimostrano anche la sua passione per le storie di forte drammaticità e il suo stile astorico capace di osservare i casi della vita fuori dal tempo quasi fossero eterni. Questa sua astoricità trovò pieno compimento nelle sue migliori opere western, come "Ombre rosse", "Come era verde la mia valle", "La via del tabacco" e molti altri. Una delle costanti del cinema di Ford è stata quella di identificare la sua visione morale in uno o in pochi personaggi, affidando a loro l'etica e la morale puritana del suo cinema, come i personaggi della diligenza di ombre rosse e tanti altri.
Il suo cinema ha seguito cinquant'anni di storia della società americana dandone una rappresentazione schematica ma non superficiale, attraverso una galleria di personaggi, di ambienti e di situazioni drammatiche che hanno fornito un'ottima interpretazione del costume e della coscienza sociale di quegli anni. Sebbene l'opera di Ford non può essere identificata solo nel periodo rooseveltiano, è anhe vero che esso ha sviluppato una poetica che condivide molti punti con il programma di rinascita elaborato da Roosevelt.

martedì 13 dicembre 2011

Il cinema Americano degli anni di Roosevelt, la nascita del "Sonoro" (1927)

L'avvento del cinema sonoro, prima in America poi nel resto del mondo, coincise con la grande crisi economica del 1929, che non solo gettò gli Stati Uniti in una profonda depressione, ma a causa di una serie di reazioni a catena provocò grandi crisi anche in Europa. L'unico sollievo per le masse venne proprio dal cinema, che con l'invenzione di un nuovo espediente tecnico, cioè la "registrazione del sonoro e del parlato", servì come una sorta di antidoto alla gravità del momento. Il fatto che i personaggi adesso oltre a muoversi avessero anche ottenuto il dono della parola, fece sì che il pubblico frequentasse ancor di più le sale cinematografiche.
Ma le maggiori frequentazioni sono da attribuire forse ancor di più alla caratteristica del cinema, come spettacolo di fuga dalla realtà, per sognare un mondo diverso da quello atrocemente reale degli anni della crisi. Così il periodo rooseveltiano viene riconosciuto come uno dei più fruttuosi periodo della storia del grande schermo.
Dunque con l'avvento del sonoro la verosimiglianza dell'illusione filmica era completata, infatti il limite del cinema muto, cioè il silenzio era ormai un lontano ricordo. Nonostante molti teorici continuavano a professare che l'arte cinematografica si basava sul movimento privo di suono e di colore, i produttori colsero subito le possibilità spettacolari del rinnovato spettacolo cinematografico e vi si buttarono con imponenti investimenti, soprattutto negli Stati Uniti. Nasceva uno spettacolo simile al cinema muto ma ben più reale, spettacolare e coinvolgente, forte di dialoghi, rumori e musiche capaci di moltiplicare le emozioni e l'identificazione degli spettatori. Il primo film sonorizzato fu prodotto dalla Warner nel 1926, con l'intento di risollevare la casa hollywoodiana dalla grande crisi finanziaria che stava attraversando in quegli anni.
Il film era "Don Juan" diretto da Crosland, opera accolta con entusiasmo dal pubblico, tanto che la Warner proseguì sulla strada del sonoro affrontando subito il problema di un film musicato e parlato, sempre affidato a Crosland. Questa nuova opera anch'essa mediocre, di puro consumo fu "Il cantante di Jazz" 1927. Il film ebbe un successo internazionale e siglò il successo del nuovo mezzo, capace di registrare le musiche e i dialoghi, mettendo definitivamente in soffitta le fastidiose didascalie del cinema muto. In seguito tutte le case cinematografiche seguirono l'esempio della Warner tanto che agli inizi degli anni trenta il cinema muto era stato del tutto abbandonato in America, come in Europa, sebbene con maggiore lentezza. A questo punto nacque il dibattito sulla validità artistica del cinema sonoro che vide scontrarsi personaggi contrari quali il teorico tedesco Arnheim e Chaplin, e personaggi a favore quali Balazs e altri, come alcuni registi russi che già nel 1928 avevano firmato il manifesto dell'asincronismo. Chaplin, che aveva fondato il suo successo su una mimica senza sonoro, fu uno dei più accaniti oppositori del cinema muto e nel 1930 dichiarava che l'essenza del cinematografo è il silenzio.
Nell'arco degli anni trenta anche i più acerrimi nemici del sonoro tra i quali Chaplin accetteranno l'inevitabilità della nuova situazione, trasformando le attrezzature del cinema muto in quella per la ripresa del sonoro.

mercoledì 30 novembre 2011

Alle soglie del sonoro (fine anni venti)

Dopo la prima guerra mondiale il cinema europeo ebbe un' involuzione dovuta da un lato alla forte concorrenza americana e dall'altro alle varie crisi recessive. E' anche vero che in stati come Germania, Francia e soprattutto Russia, gli anni venti segnarono un periodo artistico tra i più floridi e validi. Nel resto d'Europa, stati come Italia, Gran Bretagna, Svezia e altri minori, diedero segnali di una forte crisi, dovuta non solo a ragioni artistiche, ma soprattutto a ragioni di carattere politico ed economico, legate al dopoguerra e ad una forte recessione.
La maggior parte delle cinematografie furono affossate dalla grande differenza artistica tra prodotti americani, che inondavano i mercati con opere curate, levigate e grandiose, a dispetto di quelle misere ed economiche delle produzioni nostrane.
Il cinema italiano volle tentare di sfidare il cinema americano riproponendo prodotti di carattere storico, portandoli sullo stesso terreno di quello americano, cioè opere magniloquenti grandiose e permeate di un certo divismo degli attori.
Fu una battaglia persa sin dall'inizio. I tempi erano cambiati, la società del dopoguerra era diversa, e i temi e le forme erano ormai datate. Era evidente che il pubblico si rivolgesse altrove, ai film tedeschi, francesi, americani e soprattutto il nostro cinema incontrava enormi difficoltà per imporsi a livello internazionale. Si puntò così su una produzione locale per un pubblico di scarse pretese.
Tra gli autori di questi anni in Italia si ricordano: Mario Bonnard (grande attore degli anni dieci), alternò in questo periodo l'attività di regista e di attore, affrontando un pò tutti i generi, tra i suoi film ricordiamo "I promessi sposi" 1923; Guido Brignone regista che intraprese la strada del cinema comico, con film come "Maciste all'inferno" 1924; Mario Camerini, agli albori della carriera, cominciò con film dozzinali di poco conto; Augusto Genina, sarà di li a poco uno dei più grandi registi del regime fascista, per il momento i suoi film erano per lo più opere mediocri; Amleto Palermi viene ricordato soprattutto per il suo film "Gli ultimi giorni di Pompei" 1926, che creò il principio di un certo genere storico romanzesco che diede una discreta fama al cinema storico italiano, genere che fu ripreso anche da altri per tentare di rinverdire il cinema italiano con alcune glorie del passato.
Nel 1922 vi fu la svolta politica della nascita del regime fascista che non cambiò molto le cose, almeno fin quando il Duce non si rese conto della potenza che il cinema poteva esercitare sulle masse, manipolando i cinegiornali e creando una cinematografia fascista di esaltazione delle gesta del regime.
In Svezia il dopoguerra segnò la fine del grande cinema nordico, per alcuni fatti concomitanti. Innanzitutto i problemi finanziari, in secondo luogo il ristretto pubblico a cui si rivolgeva, nonostante queste opere fossero apprezzate dalla critica, ed infine perché i due registi più famosi Sjostrom e Stiller furono catturati dalle produzioni di Hollywood.
Tutto ciò ridusse la produzione a poche opere di consumo. Il cinema svedese tornerà alla ribalta solo dopo la II° guerra mondiale con opere di registi quali Ingmar Bergman e A. Sjoberg.
La Gran Bretagna visse anch'essa una profonda crisi dell'industria cinematografica che portò ad una drastica riduzione della produzione. Si ebbe una ripresa solo dopo la nascita di nuove case di produzione come la Gainsborough di M. Balcon, che primeggiò soprattutto per la qualità dei prodotti. Un cinema quello di Balcon tutto sommato privo di genialità e di invenzione, ma ben fatto. Con Balcon iniziò la sua carriera, in questi anni uno degli astri della cinematografia mondiale, Alfred Hitchcock. Il pregio di Hitchcock fu quello di aver subito introdotto nel racconto un elemento nuovo, la "suspense", ottenuta soprattutto con l'uso sapiente del montaggio, alternato a dei movimenti di macchina e a particolari inquadrature. Gia agli albori Hitchcock sapeva far scaturire dalla dimensione quotidiana la dimensione tragica dell'esistenza, la sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere. Queste furono le premesse artistiche europee che si scontreranno di lì a poco con la rivoluzione sonora introdotta dalla casa hollywoodiana Warner.

martedì 22 novembre 2011

Carl Theodor Dreyer (1889-1968)

L'entusiasmo avanguardista che invase tutta l'arte e la cultura europea degli anni Venti, toccò anche l'opera di un artista apparentemente lontano dalla sperimentazione formale o tecnica, intento soprattutto ad approfondire un discorso rigoroso sulla complessità spirituale e morale dell'uomo, Carl Theodor Dreyer.
Autore di opere memorabili, a detta di più critici, uno dei massimi registi del cinema mondiale. L'opera di Dreyer viene inserita nel filone dell'avanguardia francese, sebbene esso fosse danese di origini, soprattutto perché i suoi due capolavori nascono in Francia e dunque è qui che le idee dell'autore trovarono terreno fertile per le proprie ricerche formali. Nei suoi due capolavori "La passione di Giovanna d'Arco" 1928 e "Il vampiro" 1932, seppe assimilare con straordinario talento le ricerche sperimentali e le teorizzazioni sul linguaggio cinematografico, sviluppando quelle forme e quei temi che già aveva ampiamente trattato nelle opere precedenti, anticipando quegli elementi fondamentali della sua poesia come: l'imminenza della morte, la solitudine, il bisogno di trascendenza, l'incomunicabilità. Tra il 1912 e il 1918 Dreyer aveva esordito nel giornalismo, ma contemporaneamente si era accostato al cinema con la realizzazione di alcuni film di corretto mestiere, oltre ad alcuni soggetti e sceneggiature, che già mostravano il vivo interesse per i problemi esistenziali. In "Il Presidente" 1920 l'indagine psicologica dei personaggi d'ambiente borghese, era condotta con estrema cura del particolare e in uno stile piano e naturalistico derivato dall'arte e dalla letteratura nordica, rifacendosi soprattutto al "realismo" danese. Questo stile piano si fa certo più articolato e complesso già nei successivi "Pagine del libro di Satana" 1920 (un film derivato direttamente dallo schema d' Intollerance di Griffith, cioè diviso in quattro episodi), "La vedova del pastore" 1921, "Amarsi l'un l'altro" 1922, "Desiderio del cuore" 1924. Queste sono tutte opere interessanti, per capire l'evoluzione della poetica del regista , ma opere che non escono dai confini del prodotto di qualità di buon artigianato filmico. Il vero e proprio salto di qualità si avrà nel 1928 con "La passione di Giovanna d'arco", in cui l'uso dei primi piani, del montaggio alternato, delle didascalie si fondono in un supremo linguaggio strettamente cinematografico. Quest'opera apre il personalissimo romanzo sull'esistenza scritto da Dreyer e articolato in diversi capitoli separati, ma legati dalla continuità della ricerca e dei contenuti e delle forma. Oltre il già citato "Il vampiro", ricordiamo "Dies irae" 1943, "Order" 1955, "Gertrud" 1964 a cui si aggiunge la sceneggiatura Jesus, mai diventata film a causa di problemi finanziari. Tutte queste opere portano avanti la ricerca formale e contenutistica di Dreyer il cui fulcro è indubbiamente il tema dell'uomo oppresso dalla società e la spiritualità. La forma prediletta dell'indagine resta in tutte le opere sicuramente l'indagine psicologica, portata avanti a colpi di primi piani strettissimi di volti e di oggetti, come quelli di Giovanna d'Arco, entrati di merito a far parte della storia del cinema. A questo si aggiunge inoltre l'attenzione alla sfera spirituale e religiosa o mistica e l'indagine di personaggi femminili. Si delinea nell'opera di Dreyer quasi una trilogia della femminilità ferita costituita da Giovanna d'Arco, la storia del famoso processo, Dies irae la storia di una donna accusata di stregoneria, Gertrud ancora una donna che abbandona tutti gli uomini che ha amato, dai quali non è stata riamata, e si abbandona alla solitudine assoluta. Vampyr altro capolavoro è l'opera invece che più risente d'influenze avanguardiste, dall'espressionismo al surrealismo, e diventa quasi autoreferenziale nel metodo di indagine del protagonista (così come Dreyer indaga il reale con la sua cinecamera), impegnato a risolvere il mistero di un castello, dove alla fine scoprirà un vampiro. Oltre alle brillanti immagini, sorrette dalla musica e da pochi dialoghi che aumentano la tensione, Vampyr è anche un opera che fornisce diversi elementi per una meditazione sull'esistenza e sull'irrazionalismo, la dimensione onirica e fantastica l'irriducibilità ad una interpretazione razionale. Oltre gli spunti più palesemente avanguardisti anche in Vampyr c'è un tema comune a quello di Giovanna, cioè la solitudine come condizione di estrema libertà, tema che a ben guardare è l'asse portante di tutta la sua opera. Anche in Gertrud il "realismo psicologico" di Dreyer acquista la dimensione di una rappresentazione astratta della condizione umana, ancora legata ad un forte senso di solitudine.
La grandezza di Dreyer sta nell'aver saputo indagare la sfera umana, attraverso un continuo rapporto tra storia del singolo e storia della collettività, creando un realismo della coscienza, dandoci un'interpretazione della realtà umana polivalente e continuamente vissuta in prima persona.

venerdì 11 novembre 2011

Renè Clair (1898-1981)

Anche Clair, come altri suoi colleghi, fu influenzato dall'avanguardia cinematografica, e sebbene avesse esordito nel periodo 1920-22 come attore, in alcuni film di Protazonov e di Feuillade, le sue prime opere come regista sono strettamente legate all'esperienze avanguardiste. Questo è palese nei suoi primi film, come "Paris qui dort" 1923, ed "Entr'acte" 1924, che restano sostanzialmente dei buoni giochi ottici.
L'influenza dell'avanguardia, soprattutto Dada, si fermò agli aspetti esteriori della sua arte, al gusto per il non-sense, ma non intaccherà la natura autentica della sua poetica, nata all'insegna dell'umorismo lieve, di una sottile malinconia e del piacere per la beffa. Questi caratteri rendono il suo stile molto simile a quello realistico di Feuillade e a quello comico di Sennett, allontanandolo dalle ricerche di un cinema puro e dagli esperimenti di sinfonismo visivo, che tanta parte avevano avuto in certo cinema francese degli anni venti.
Esso si allontana dalla magniloquenza di Gange, dal tecnicismo di L'Herbier e dal lirismo di Epstein, per affermarsi con il suo stile piano, consueto, di cui seppe mettere in luce gli aspetti più comici e sentimentali.
Si impose non per il suo stile ma per il carattere spiritoso dei suoi personaggi.
Oltre alcuni film a sfondo fantastico, la sua opera è sottesa ad approfondire il discorso ironico e satirico sull'uomo, conservando un gusto per il fantastico e per il sentimentale.
Clair giunse all'attenzione del grande pubblico con una commedia brillante, "Un cappello di paglia di Firenze" 1927, seguito da "I due timidi" 1928, entrambi basati sugli ingredienti del teatro comico e del vaudeville, per comporre una sequenza di qui-pro-quo, fraintendimenti, disguidi, inseguimenti, fatti grotteschi, scambi di persona, che grazie alla tecnica cinematografica venivano ingigantiti e spinti fino all'assurdo. Infatti soprattutto nel film "Il cappello di paglia", (la storia di una sposa infedele in cerca del suo cappello), la lezione di Sennett è vivissima, tanto il racconto segue le regole codificate del riso americano, basato su equivoci ed inseguimenti, rielaborando la lezione sennettiana in una personale interpretazione. La caratteristica di Clair sta nell'ironia più che nel sarcasmo, e l'umorismo si trasforma in una comicità velata, meno eloquente di quella americana.
Con l'avvento del sonoro il suo stile raggiunse i risultati più alti, creando un cinema populista basato su una acuta introspezione psicologica e una accurata analisi d'ambiente. I suoi personaggi erano operai e impiegatucci, visti con una certa ironia, ma anche nella loro positività di gente sana, fiduciosa, morale. Si vedano "Sotto i tetti di Parigi" 1930 o "Il milione" 1931" da molti considerato il suo capolavoro. Con queste opere si confermò autore attento d'un mondo minuto, di fatti e fatterelli della realtà quotidiana del popolino di Parigi, divertente inventore di situazioni esilaranti. Sebbene raccontò più volte storie di gente normale, è anche vero che i grandi problemi contemporanei gli furono estranei, rimase legato al piccolo mondo della periferia parigina.
Il successo lo spinse ad emigrare, prima in Gran Bretagna e poi in America, ma la situazione troppo diversa da quella parigina lo portò a non avere grande successo. Cadde in un periodo di decadenza dal quale si risollevò al rientro in patria, con la realizzazione de "Il silenzio è d'oro" 1947 una storia in parte autobiografica, di un regista che si innamora di una ragazza della quale dovrebbe essere il tutore. Continuò con altre opere che rientrano tranquillamente negli schemi della poetica clairiana, sia pure aggiornati nei temi, in cui si evince un maggiore impegno ideologico e politico, soprattutto nelle opere nate nel dopoguerra, che di certo non potevano più avere quella leggerezza e quella spensieratezza degli anni venti.
L'opera di Clair resta un opera di grande maestria registica, dominata da un grande accademismo e da una satira sottile.
Il suo stile ironico lo pone a fianco di Chaplin, come uno dei migliori registi di commedie leggere.

giovedì 20 ottobre 2011

L'impressionismo francese (Delluc, Gance, L'Herbier, Epstein)

Il cinema che si sviluppò in Francia negli anni venti venne chiamato impressionista per contrapporlo a quello coevo tedesco, così come avveniva in pittura. Questa tendenza accentuava i caratteri formali, descrittivi, e visivi del linguaggio cinematografico, dando maggior rilievo all'immagine, al ritmo e alla figurazione. Cinema soprattutto di forma che non di contenuto, alquanto lontano dai temi della realtà quotidiana, più attento al recupero dei temi e delle storie della letteratura naturalistica zoliana. La tendenza al formalismo deriva dai presupposti dell'avanguardia cinematografica. Quando il mercato francese fu invaso dai prodotti americani fu sviluppata una produzione che si richiamava alla precedente esperienza della film d'art, per cercare di creare uno stile francese di prestigio culturale. Sotto questo punto di vista fu determinante l'influenza di Louis Delluc che nei suoi scritti e nelle sue attività promozionali come quella dei cineclub, sviluppò un discorso sul cinema come forma originale di espressione artistica che fu ripreso da registi quali Germaine Dulac, Abel Gance, M. L'Herbier e J. Epstein.
Il cinema impressionista fu anche definito della , riferendosi sempre alle arti figurative, i loro film tentavano di creare un nuovo linguaggio visivo universale, costruito su immagini e ritmi. Ai normali personaggi, di tipo teatrale o di forte carattere psicologico, si sostituivano oggetti, paesaggi, sequenze di piani che dovevano suggerire e riportare alla mente atmosfere, caratteri, azioni e comportamenti. Delluc di questa tendenza fu un precursore almeno in due film, "fiere" 1921 e "La femme de nulle part" 1922. In questi i personaggi erano poco più che dei pretesti, in cui l'ambiente, delicatamente descritto, diventava il vero protagonista e le immagini si caricavano di una forte valenza artistica. Il pesante formalismo si opponeva dunque a un autentico rapporto con la realtà quotidiana.
Gance entrò giovanissimo nel mondo del cinema. Viene ricordato per una incessante ricerca e sperimentazione formale, per le arditezze tecniche e un uso smodato di effetti drammatici. Un tratto caratteristico della sua poetica è sicuramente la sua magniloquenza come possiamo vedere nei suoi film migliori, "La roue" 1922 e "Napoleone" 1927. I film piacevoli da un punto di vista visivo peccano in contenuti e mostrano vari scompensi stilistici a causa soprattutto dello smodato uso del miracolismo della macchina da presa, come se la sola tecnica avesse potuto risolvere i problemi sia estetici che formali. Ciò è palese in Napoleone in cui Gance arrivò ad utilizzare il triplo schermo, con le due immagini laterali speculari a quella centrale. Lo stile di gance si fa pomposo quasi volesse raggiungere quella totalità dell'opera filmica vicina alle concezioni di wagneriana memoria dell'opera musicale. Il cinema di Gance è un cinema che fa della spettacolarità l'elemento centrale della costruzione filmica.
Non lontano dall'opera di Gance troviamo anche l'opera di M. L'Herbier, anch'esso votato ad un forte tecnicismo. Attento soprattutto ai valori figurativi e dinamici della storia come possiamo vedere in "Eldorado"1921, la storia di una ballerina violentata, dramma risolto essenzialmente in termini visivi con alcune interessanti soluzioni di montaggio e di taglio delle immagini. In L'Herbier l'elemento principale resta il rapporto tra l'immagine e il montaggio, inteso come elemento produttore del ritmo dell'opera. Si veda "Futurismo" 1924, in cui la storia di una bella donna corteggiata da più uomini è un pretesto per mostrare ambienti , costumi, oggetti. Dunque la scenografia diventa la vera protagonista del film. La sua opera si caratterizza, di uno smodato interesse scenografico, bisognoso di curare nei minimi particolari i dettagli dell'inquadratura, proprio come se fosse un quadro, unito a necessità più propriamente filmiche, come il dinamismo, ottenuto tramite il montaggio o tramite movimenti di macchina attenti e ricercati. Questi caratteri sono visibili soprattutto in "L'argent"1929, film che chiuse il periodo più fruttuoso della sua attività. Il film tratto dal romanzo di Zola più che un ritratto della società borghese, è un vero saggio di tecnicismo, un vero e proprio shock visivo.
Della corrente impressionista, un gran rappresentante fu senza dubbio Epstein, fautore di un cinema di sicuro più lirico e poetico, rispetto ai registi a lui coevi. I suoi drammi si risolvono spesso in una sorta di sinfonia visiva. Ricordiamo "Coer fidele" 1923. La storia di una donna contesa tra due uomini, si risolve in una serie di immagini e di ritmi, che ne fanno un vero e proprio poema lirico-dinamico-figurativo.Anche Epstein utilizza il soggetto come un pretesto per comporre un film cinematografico, ma in lui, l'osservazione della realtà umana e sociale, è più attenta e l'interesse formale e visivo, non è mai disgiunto dall'interesse per l'uomo. Questo è chiaro in "Coer fidele", dove non solo ritroviamo tutta una serie di soluzioni tecnico espressive originali, ma vi è un'analisi sensibile dei sentimenti e delle dinamiche psicologiche, attraverso la ripresa degli sguardi, dei gesti, degli atteggiamenti dei personaggi, che sarà propria di una corrente cinematografica successiva detta del "realismo poetico". Ricordiamo inoltre un amore nella descrizione e nella rappresentazione della natura che distingue ancora l'opera di Epstein da quella degli altri. Infatti le sue opere più genuine resteranno quelle girate in Bretagna, come "Finis terre"1929, o "Mor'Vran"1930, opere in cui ritorna prepotente il binomio uomo-natura. Altra opera da ricordare è sicuramente "La caduta della casa Usher" 1927, tratto da un libro di Poe, in cui seppe ben ricreare una certa atmosfera di terrore. Abbiamo ancora "Le tempestaire" 1948, in cui il realismo fantastico di Epstein mostra il suo lato migliore, attraverso la storia di un mago che placa la tempesta. Qui troviamo uno dei temi più cari ad Epstein, quello che esso definiva il carattere peculiare del cinema, cioè l'intrusione del soprannaturale nel reale, una sorta di misticismo della cinecamera, tratto caratteristico dell'opera di Epstein. Ancora oggi è considerato il più geniale regista francese degli anni venti, al di là dei suoi limiti culturali e formali.

giovedì 6 ottobre 2011

G.W. Pabst (1885-1967)

Alla leggerezza di Lubitsch, alle inquietudini di Murnau, al rigore logico di Lang, fa riscontro l'intento sociale di documentazione critica dell'opera di Pabst.
I suoi film si inseriscono in una rinnovata dimensione degli interessi artistici, rivolta innanzi tutto all'uomo e alla società.
Il cinema tedesco dagli anni trenta in poi, si accosta sempre più ai problemi quotidiani, allontanandosi da mostri, vampiri e storie allucinate.
Questi nuovi film saranno raggruppati sotto l'etichetta di nuovo oggettivismo o nuovo realismo, richiamando questo termine critico che già indicava certa pittura tedesca come quella di Grosz, Dix e altri. Un nuovo realismo teso sopratutto ad approfondire il tema sull'uomo in rapporto alla società. Di questo nuovo oggettivismo faranno parte autori come G. Lamprecht, B. Rahn, J. May, P. Jutzi, C. Junghans. Ma colui che sarà il migliore indagatore del rapporto tra vicende individuali e ambiente sociale, sarà Pabst. Esso si impose per un innegabile stile personale, con il quale influenzò parecchi registi di quegli anni, tedeschi e non.
Trattò e approfondì temi e argomenti che, o venivano trattati in maniera superficiale, o erano in larga misura vietati (antimilitarismo, pacifismo, critica sociale, prostituzione ecc.). Pabst intraprese la strada del cinema sociale realistico, senza però rinnegare alcune possibilità espressive e senza trascurare problemi formali, tuttavia la sua opera non è esente da lacune formali o tecniche.
Tra queste ultime, nell'opera di Pabst, potremmo mettere in evidenza l'eccessivo romanticismo, che dà vita ad un quadro meno critico e problematico di quello che realmente poteva apparire allora, diciamo ne esce un ritratto alquanto edulcorato della Germania degli anni '30, venato di compiacimenti formali.
Tra i suoi primi film ricordiamo "I misteri di un anima" 1926, "Giglio nelle tenebre" 1927 e "La via senza gioia" 1925, storie semplici in cui è già chiara la tematica sociale di Pabst. In quest'ultimo film, si racconta la storia di una prostituta che si sacrifica per l'uomo che ama, opera caratterizzata da uno stile documentaristico. Il realismo di Pabst aveva una sua peculiarità nella caratterizzazione psicologica dei personaggi, tanto che venne denominato "Realismo Psicologico". Ogni film di Pabst è come una tappa nell'analisi della complessità della mente e dei comportamenti umani, tramite la potenza del mezzo rivelatore, il cinema. Nelle prime opere è anche vero che scaturisce palesemente l'incapacità di Pabst di cogliere gli autentici problemi della realtà sociale e politica. Questa incapacità è evidente se osserviamo i tre film che furono definiti della trilogia sociale "Westfront"1930, "L'opera da tre soldi" 1931, "La tragedia della miniera"1931. Il primo tratta di pacifismo e antimilitarismo in modo generico, non vi è infatti un esame critico della situazione bellica ma solo una realtà che scaturisce dalla semplice descrizione degli orrori della guerra. Nel secondo, tratto dall'opera di Brecht, si descrive la società corrotta dai vizi, dal denaro e dalla vita mondana. Nel terzo, il dramma di una squadra di minatori belgi soccorsi dai tedeschi. Agli inizi degli anni trenta Pabst era in piena involuzione e questo fu chiaro nel film successivo, "Atlantide" 1932, la storia fantastica della regina Antinea e nel successivo "Don Chisciotte" 1933, arido e privo di vere ragioni espressive. I film realizzati successivamente, dopo la fine della seconda guerra mondiale, restano delle opere di artigianato ben confezionate, in cui sembrò tornare ai suoi temi più cari, quelli umanitari e politici, e trattò soprattutto temi antirazzisti per difendersi dalle accuse di aver collaborato col regime nazista. Gli ultimi film restano sostanzialmente delle buone opere sul piano formale, ma abbastanza anonimi sul piano dei contenuti. Pabst resterà comunque uno dei migliori rappresentanti del cinema anni trenta, con il suo intento sociale e psicologico. Va ricordato un altro regista che riprese lo stile formale di Pabst, Andreas Dupont, che si impose per un solo film "Varietè" 1925, in cui il dramma di un uomo che uccide un rivale in amore, sullo sfondo di un circo, è trattato in maniera prettamente filmica con una forte attenzione alla cinecamera.